Se è vero che la regola della maggioranza e della rappresentatività va senz’altro seguita in un sistema che predilige il principio democratico del “merito”, per cui, secondo un criterio generale, chi ha maggior numero di iscritti ha maggiore peso specifico nelle decisioni, è anche vero che, da diversi anni, la rappresentanza sindacale ha perso lo storico splendore in termini di “fiducia” ed i singoli lavoratori non vedono più il proprio alter ego nell’ente sindacale, che, a prescindere dalla formale iscrizione ad esso, dovrebbe curare l’interesse indiscriminato di tutti i lavoratori. La sfiducia crescente, invece, è il dato fornito da ogni testata giornalistica oltre che dalle testimonianze di tanti lavoratori, delusi. Si verifica un fenomeno di scollamento tra la rappresentanza e la rappresentatività: sarà pur vero che i numeri ancora sono indicativi ed eloquenti per gli storici sindacati ma la loro forza è stata oscurata nelle lotte collettive al punto che molti lavoratori non si sentono più rappresentati da essi e, anzi, sempre più diffusi sono i fenomeni di neo-sindacalismo nelle medie e grandi imprese.
Un emblema di nuova organizzazione sindacale è
Cambia-Menti M-410, nato nel settore degli Autoferrotranvieri in ATAC Spa, a Roma. L’organizzazione in commento, ormai, inizia a ben radicarsi anche in altre città italiane (Bari, Torino, Brindisi) raccogliendo consensi via via crescenti. La base di azione di questa organizzazione è offrire ai lavoratori una conoscenza almeno basilare dei propri diritti organizzando, periodicamente e gratuitamente, incontri di formazione con esperti in materia di lavoro e sindacale. Notevoli, poi, le azioni di resistenza interne ad ATAC Spa ma anche in TPL Scarl Roma, le due grandi aziende appaltatrici del trasporto pubblico della città metropolitana, nonchè in Cotral Spa. Si rammenta lo sciopero del giorno 25 novembre 2016 che ha procurato non pochi disagi in città, nonostante lo scetticismo di alcuni nel sottovalutarne la portata.
Ascoltando e vivendo da vicino alcune grandi realtà aziendali, da aziende operanti presso Fiumicino Aeroporto, nei grandi appalti di sicurezza privata ovvero nel settore del trasporto pubblico, ci si accorge immediatamente che, nella gestione delle dinamiche aziendali, le RSU ovvero le RSA spesso “imbruttiscono” alla presenza di un consulente esterno incaricato da singoli lavoratori e lì iniziano a snodarsi notevoli perplessità sulla genuinità dei loro intenti nel consesso aziendale. Vengono fuori accordi aziendali inenarrabili, inerzia e indifferenza nelle procedure di licenziamento collettivo, nella contrattazione aziendale e nella gestione dei turni di lavoro.
Dunque, di fronte a tanto smarrimento e perdita di credibilità, le nuove organizzazioni sindacali, per entrare nel “circuito” delle procedure sindacali, devono soggiacere a regole ferree stabilite da altri sindacati sì
rappresentativi nei numeri ma non più veri
rappresentanti del gruppo.
In alcune dinamiche aziendali, l’impressione avuta è stata quella in cui l’attività sindacale abbia totalmente perso di vista la meta finale cui essa dovrebbe proiettarsi: si è perso di vista, cioè, il principio democratico e partecipativo dei lavoratori alla realizzazione dei loro interessi collettivi e, di riflesso, individuali. Quando, per citare un esempio, la legge n. 223/1991 identifica le RSA e/o rispettive associazioni di categoria quali soggetti legittimati all’esercizio dei diritti e delle facoltà di cui all’articolo 4, medesima legge, questa legittimazione andrebbe interpretata nel senso ampio ed estensivo tenuto conto del quadro sistematico in cui si inserisce. Si vuole suggerire che, aldilà della disposizione secondo cui i rappresentanti sindacali dei lavoratori possono farsi assistere da esperti, in realtà, essendo l’oggetto dell’esame congiunto di enorme spessore e di considerevoli conseguenze per l’intera compagine dei lavoratori, andrebbe il più possibile garantita la libera partecipazione di tutti i lavoratori, soli o accompagnati da un proprio consulente di fiducia e liberamente scelto. Un grave sintomo di sfiducia verso le RSA/RSU è dato, invece, proprio da una “chiusura” verso la compagine dei lavoratori, i quali vengono redarguiti se manifestano la volontà di partecipare a riunioni e incontri con l’azienda anche accompagnati da un legale o da un consulente. E’ un atteggiamento non apprezzabile ed anzi è il sintomo che qualcosa non va.
Il problema, oggi più che mai, è che la prassi sindacale a livello aziendale spesso soffre di un conflitto di interessi ineguagliabile: la RSA/RSU è un lavoratore dipendente dell’azienda presso cui dovrebbe esercitare i propri diritti e prerogative sindacali, anche con azioni di acceso contrasto con l’azienda stessa. Se è vero che la realizzazione, la protezione e la promozione di un interesse vengono effettuate in maniera efficace soprattutto attraverso la maggiore vicinanza del suo promotore al livello cui quell’interesse appartiene (quindi al livello aziendale, piuttosto che provinciale, regionale o nazionale), secondo un principio generale di sussidiarietà e di “prossimità”, è anche vero che c’è un margine di rischio medio-alto di conflitto di interessi. Alla RSU/RSA, infatti, in forza del potere di rappresentanza conferitole, viene affidata e attribuita un'alta
responsabilità decisionale e di scelta avendo, nel contempo, propri interessi personali o professionali sul posto di lavoro, ed entrando in contrasto, inevitabilmente, con i generali doveri di
imparzialità, trasparenza, correttezza, prerogative richieste da tale responsabilità. Del resto, ogni rappresentante sindacale è prima di tutto “uomo” ed in quanto tale influenzabile da promesse di premi, aumenti di retribuzione, promozione di carriera all’interno dell’azienda, promesse di vario tipo.
Questi ed altri fattori stanno determinando un allontanamento massivo dal sindacato ed una connotazione individualista della protezione dei diritti: sempre più singoli lavoratori cercano di “farsi giustizia da sè”, ignorando e scavalcando le associazioni sindacali quali mezzi di lotta e di resistenza. Riecheggia il quesito del “chi rappresenta chi” di Massimo D’Antona, al quale vanno ad affiancarsi altri quesiti riguardanti l’identità e la funzione del sindacato, sul perchè esistano le azioni collettive, le relazioni sindacali e con quali modalità dovrebbero svolgersi per essere efficaci.
Aldilà di questi gravissimi fatti degenerativi del sindacato e della sua attività, bisogna avere anche la consapevolezza che il diritto del lavoro non può avere una “curvatura” individualista e non può vivere senza l’azione ed il supporto della contrattazione collettiva a tutti i livelli. A livello aziendale, allora, bisognerebbe adottare un sistema di garanzia partecipativa “allargata”; superando i vincoli standard secondo cui possono accedere ai tavoli di trattativa e discussione solo le rappresentanze dei sindacati maggiormente rappresentativi o comparativamente più rappresentativi a livello nazionale (a seconda di come disponga la legge caso per caso), bisognerebbe sperimentare sistemi di rilevazione del consenso dei non iscritti alle sigle sindacali di rilievo, onde evitare forme di imposizione, malcontento e degenerazione irreversibile del sindacato.
Non si dimentichi, in ogni caso, che la contrattazione aziendale potrebbe apportare grandi vantaggi all’impresa e risultati di alta qualità in termini di condivisione di idee, di risoluzione di problemi e buon andamento aziendale se le decisioni venissero prese con il confronto-scontro allargato tra i rappresentanti aziendali e tutti i lavoratori. Insomma, per ricostruire un dialogo costruttivo tra le parti occorre restituire valore al parere dei “rappresentati” nei grandi processi decisionali. D’altro canto, persino lo strumento del referendum, di cui all’articolo 21 della legge n. 300/1970, non è più utilizzato come un tempo, per recepire la volontà dei lavoratori appartenenti all’unità produttiva sui grandi temi inerenti al rapporto di lavoro.
Questo clima di oligarchia decisionale sta diventando molto pesante e chi subisce decisioni non condivise ha iniziato da qualche tempo a studiare modelli alternativi di tutela e resistenza.
La base per ripartire sarebbe la condivisione di disagi ed agi tra l’azienda e i lavoratori; la sede migliore per affrontare la crisi e il disagio è la contrattazione aziendale quale tavolo di confronto tra le parti in contraddittorio e sede di consapevolezza delle rispettive distinte responsabilità nell’impresa.
Sull’argomento si proseguirà nei prossimi articoli.