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Sciopero-delitto, sciopero-libertà, sciopero-diritto, infine, sciopero solo per pochi dal 2017?
A cura di dott.ssa Gianna Elena De Filippis, CdL
Luglio 2017
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La storia ci insegna che i processi di miglioramento in ogni ambito sono stati il frutto di grandi conflitti sociali ed ideologici: medicina, diritto, astronomia, fisica, chimica, biologia.
Oggigiorno, si può, serenamente, affermare che “si vive di rendita” delle lotte del passato (cit. Armando Fernandez Steinko).
Il secolo 1900 ha avuto una enorme mole di dinamiche “emancipative”: suffragio universale, istruzione e sanità pubblica per tutti, regolamentazione politica dell’economia, diritti sindacali e dei lavoratori, solo per ricordarne alcune.
Si è ottenuto “tanto” perchè i nostri avi, nonni, bisnonni e genitori si sono mobilitati per ottenerli. Un ruolo determinante è stato quello della “democratizzazione” della gestione delle imprese e non è casuale che nelle fabbriche si sono avute le prime mobilitazioni dure e proprio dalle fabbriche sono “usciti” i primi diritti non solo lavorativi ma anche democratici in via generale. Il suffragio universale, la introduzione del divorzio, le riforme fiscali sarebbero state lente o assenti senza il movimento operaio. Il suo indebolimento si traduce, pertanto, in un indebolimento della intera società democratica, paritaria, equa, che ogni giorno viene erosa dalle fondamenta.
Tutte le ondate governative autoritarie hanno attaccato prima i lavoratori, poi l’intera società.
Alla luce del dato empirico storico, oggi, si assiste al rischio di ripetizione di questa “offensiva” e tutti dovremmo inorridire dando il nostro contributo di resistenza affinchè nuove aggressioni ai diritti dei lavoratori non raggiungano livelli troppo dannosi, irreversibili ed antistorici.
Venerdi 16 giugno 2017 l’Italia è rimasta bloccata per uno sciopero nel settore del trasporto pubblico indetto dai sindacati non maggiormente rappresentativi ed ha riguardato treni, aerei, trasporto locale inclusi metro, autobus e trasporto marittimo. L’adesione allo sciopero è stata altissima e, infatti, il disagio degli utenti è stato, a sua volta, notevole.
La motivazione dello sciopero degli Autoferrotranvieri è stata oltremodo giusta e degna di nota:  l’abrogazione del RD n. 148/1931.
Premesso e considerato che la quasi totalità del decreto è di fatto stato dichiarato incostituzionale ovvero “devitalizzato” dalla giurisprudenza, per giusti e legittimi motivi che ancoravano il suo contenuto ad un regime ormai decaduto, l’aspetto che maggiormente ha suscitato un altissimo livello di indignazione, repulsione e collera è l’inciso nel quale si stabilisce che:
“12-quater. Sono abrogati il regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148, e relativo allegato A, la legge 24 maggio 1952, n. 62, e la legge 22 settembre 1960, n. 1054. Le disposizioni di cui al periodo che precede restano in vigore sino al primo rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro di settore e, comunque, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto.”
Da queste disposizioni pare intuibile che la disciplina del rapporto di lavoro degli Autoferrotranvieri rischi di essere “delegata” in toto al contratto collettivo nazionale, in scadenza il 31 dicembre 2017 (lo stesso contratto collettivo che ha suscitato troppo malcontento nei lavoratori del settore) e non ad una fonte di diritto pari alla legge ordinaria, con una serie di ben chiare conseguenze.
Ciò premesso, (non essendo questo l’argomento trattato in tale breve eleborato), proprio a seguito dei notevoli disagi creati, suscitano scalpore le dichiarazioni di Matteo Renzi e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio tese a modificare le norme attualmente vigenti in materia di sciopero. Graziano Delrio, intervistato da Repubblica, sostiene che “bisogna intervenire per evitare che una minoranza di lavoratori tenga in ostaggio una maggioranza di cittadini nelle loro esigenze quotidiane. Questi sono i danni di una situazione inaccettabile”. Per questo, spiega, “immagino un filtro. Non è possibile che si proclamino scioperi a prescindere, con rappresentanza del 10% dei lavoratori” (Da Il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2017).
Quindi, appunto, nell’idea delle prossime devastazioni normative (ormai siamo abituati!), uno sciopero dovrà contare solo se proclamato da organizzazioni rappresentative, in beffa alla democrazia, alla libertà e ai diritti conquistati nella storia di cui si scriveva (cfr. supra), a danno non semplicemente dei sindacati minori ma dei lavoratori tutti.
A questo punto, giova rispolverare qualche concetto su questo istituto sindacale di primario rilievo per i lavoratori.
Lo sciopero ha acquisito la nobile valenza di “diritto” con l’avvento della Costituzione dal 1948, dopo essere stato qualificato prima come “delitto” e poi come mera “libertà”.
Lo sciopero qualificato come “libertà” escludeva la repressione da parte dello Stato (come quando era qualificato reato) ma lasciava l’illiceità del fatto sul piano dell’inadempimento contrattuale da parte del lavoratore che si asteneva dal servizio.
Il riconoscimento dello sciopero come “diritto”, dal 1948, determinò una fondamentale innovazione sul piano della responsabilità civile: venne, infatti, eliminato il profilo dell’inadempimento contrattuale. Il lavoratore scioperante può sospendere l’attività lavorativa senza incorrere nel rischio di un’azione risarcitoria datoriale per inadempimento contrattuale (Trattandosi, invece, di contratto a prestazioni corrispettive, l’astensione dal lavoro per ragioni di sciopero determina la perdita della retribuzione per il periodo non lavorato).
L’articolo 40 della Costituzione sancisce: “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”; le leggi in merito, però, non sono state mai emanate, salvo alcune norme speciali, tra cui quelle dello sciopero nei servizi pubblici essenziali. Del resto, nessun sindacato, neanche quelli maggiormente rappresentativi, hanno mai ottemperato all’obbligo di registrazione, secondo l’articolo 39 della Costituzione.
Quindi, si riaccende l’ancestrale dibattito sul diritto sindacale italiano non scritto, ovvero scritto in accordi sindacali o in norme consuetudinarie di fatto (che su un piano teorico del diritto non vincolerebbero tutti i lavoratori alla loro applicazione). Le leggi, invero, rinviano  spesso alla contrattazione nazionale; si rinvia, però, ad una contrattazione nazionale “qualificata” dai e coi criteri fissati da un accordo sindacale – fonte negoziale e non normativa-. A tratti sembra esserci un circolo vizioso nel quale i sindacati si autodefiniscono e fissano criteri vincolanti anche per chi è asindacale o iscritto ad altro sindacato.
Facendo un passo indietro, il contratto collettivo è definito (cit. Antonio Vallebona) come un accordo tra un gruppo di lavoratori ed un datore di lavoro (o un gruppo di datori di lavoro) per determinare le condizioni applicabili a ciascun rapporto individuale: la debolezza del singolo ottiene lo scudo della forza della coalizione. Il soggetto stipulante non deve essere necessariamente un’associazione/organizzazione sindacale: sono riconosciuti come contratti collettivi anche quelli sottoscritti da organismi non associativi o da gruppi temporanei, purchè sia contemplato un interesse collettivo che trascenda quello dei singoli individui. In sostanza, conta che l’agente contrattuale sia un soggetto collettivo, anche privo di identità stabile e strutturata, almeno  per il lato dei lavoratori[1].
Perchè questo criterio non dovrebbe essere più valido per esercitare il diritto di sciopero? Si scongiura categoricamente che venga modificata la vigente disciplina che attribuisce, oggi, la facoltà a tutti i lavoratori di manifestare collettivamente per l’affermazione di un proprio diritto e per la salvaguardia di proprie garanzie lavoristiche.
Si rammenta che la titolarità del diritto di sciopero è riconosciuta al singolo lavoratore, unico legittimato a decidere se aderire o meno all’astensione collettiva dal lavoro, condividendone o meno le motivazioni.
Altro argomento è quello secondo il quale lo sciopero può essere attuato solo per la difesa di un interesse collettivo, secondo la decisione democraticamente presa dal gruppo. E’, pertanto, un diritto individuale ad esercizio collettivo: richiede la necessaria pluralità degli scioperanti.
Non è richiesta una specifica procedura “interna” di decisione nè un atto formale dal quale si estrinsechi la volontà di scioperare (deliberazione o verbale di riunione), nè è formalmente richiesto un preavviso minimo (ad eccezione dei servizi pubblici essenziali). “L'indizione dello sciopero rimane condizionato all'adempimento dell'obbligo dei lavoratori di abbandonare il lavoro solo dopo aver adottato tutte quelle cautele le quali si palesino necessarie ad evitare il pericolo o della distruzione degli impianti (essendo inammissibile, e contrario allo stesso interesse cui tende l'autotutela di categoria, che lo sciopero abbia per effetto di compromettere la futura ripresa del lavoro), oppure della produzione di danni alle persone o ai beni dello stesso datore, o, a piu` forte ragione, dei terzi” – Corte Cost. n. 124/1962.
 
Da sottolineare che l'art. 40 della Costituzione va interpretato nel senso che esso ha rinviato alla legge solo la disciplina dei limiti dell'esercizio del diritto di sciopero, non già consentito di effettuare discriminazioni di carattere soggettivo inibendo l'esercizio stesso a singole categorie di lavoratori (il che, se fosse ammesso, riuscirebbe lesivo anche del principio di uguaglianza).
Il soggetto collettivo che indice lo sciopero non deve essere necessariamente un’associazione/organizzazione sindacale ma può essere un gruppo qualsiasi di lavoratori subordinati, come previsto nella legge n. 146/1990 che si riferisce sempre a “soggetti che promuovono lo sciopero” (Articolo 2, c. 1) o a “organizzazioni dei lavoratori che promuovono l’azione”, senza dare ulteriori qualificazioni che condizionino l’esercizio di questo diritto.
Depauperare un gruppo di lavoratori dell’esercizio del diritto di sciopero solo perchè è un gruppo “non rappresentativo”, secondo le self made rules dei grandi sindacati o secondo gli umori dei politici di turno, equivale a ledere e a limitare la libertà di espressione, di opinione, di associazione.
Inoltre,aspetto non poco rilevante è che dalla data di proclamazione dello sciopero da parte di una o più organizzazioni sindacali non è possibile prevedere nè conoscere l’entità dell’adesione ad esso. Per questo, si sottolinea che l’esclusiva titolarità dell’esercizio del diritto di sciopero è del singolo lavoratore. Allo sciopero, infatti, partecipano liberamente anche lavoratori non isciritti alle sigle sindacali che lo hanno indetto ovvero lavoratori privi di ogni iscrizione sindacale (proprio come è accaduto il 16 giugno 2017).
 
Di rilievo, infine, gli articoli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (26/10/2012):
  • Articolo 11. Libertà di espressione e d'informazione. 1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. 2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.
  • Articolo 12 Libertà di riunione e di associazione 1. Ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni persona di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi. 2. I partiti politici a livello dell'Unione contribuiscono a esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione.
  • Articolo 21 Non discriminazione 1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. 2. Nell'ambito d’applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità.
  • Articolo 28 Diritto di negoziazione e di azioni collettive. I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero.
 
Ciò argomentando, si auspica seriamente che non venga emanata una legge “discriminatoria” che attribuisca l’esercizio del diritto di sciopero, ivi inclusa la sua proclamazione, solo ai sindacati maggiori, perchè questo determinerebbe un gravissimo danno ai lavoratori e, in generale, alla nostra già decadente democrazia. In sostanza, tante conquiste e tanti conflitti del passato verranno completamente vanificati e svuotati di senso.
 
 
 
 
 
 

[1] Resta irrisolto il problema del dissenso individuale dei lavoratori non “sindacalizzati” o aderenti ai sindacati non stipulanti e nessuna teoria risulta essere oggi convincente nel dichiarare l’efficacia generale di un contratto collettivo sui lavoratori dissenzienti non iscritti alle sigle firmatarie. Dovrebbe, invero, essere rispristinata la libertà del singolo di deliberare, con propria autodeterminazione, almeno a livello aziendale, lasciandogli la libera scelta di disporre di propri diritti e  doveri.
 
 

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